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Micropagamenti per i giornali ecco la soluzione di Google
Il motore di ricerca risponde a una richiesta dell’associazione dei giornali americani. E in Italia l’Antitrust ha aperto un’istruttoria sul motore di ricerca
Uno dei problemi dell’informazione online è la difficoltà di trovare un modello di business sostenibile: traformare gli accessi in guadagni attraverso la sola pubblicità si è rivelata con il tempo una soluzione insufficente. Il tentativo di Rupert Murdoch di rilanciare l’informazione a pagamento anche su internet, panacea di tutti i mali, ha trovato numerosi sostenitori nel mondo dell’editoria, e potrebbe trovare applicazione grazie a quello che per molti è il nemico numero uno: Google. Il motore di ricerca ha infatti in cantiere un sistema di micropagamento pensato appositamente per i siti di informazione.
L’associazione americana che riunisce gli editori di oltre 2 mila giornali (NAA) ha chiesto a Google, e ad altri gruppi tra cui Microsoft, Ibm e Oracle, di proporre una soluzione che permetta di monetizzare gli accessi ai siti internet, attraverso il pagamento delle notizie (pay per content) o con la raccolta di dati sui lettori, da rivendere eventualmente per scopi pubblicitari.
La risposta da Mountain View non si è fatta attendere ed è riassumibile con un unico concetto: il micropagamento. Di fronte a un contenuto interessante, il lettore dovrebbe pagare una piccola cifra per accedervi, un po’ come si fa già adesso per le singole canzoni su iTunes e gli altri store digitali.
L’idea si è sempre scontrata con la difficoltà di trovare un sistema di transazione di denaro online che permetta il trasferimento di cifre molto piccole senza troppe spese. Proprio in questo campo arriva Google che ha annunciato entro il 2010 l’arrivo di una nuova piattaforma per i pagamenti adattata ai giornali, derivata dalla già esistente Google Checkout (prodotto concorrente del più noto PayPal).
Nel documento di risposta alla NAA, Google sottolinea l’importanza della pubblicità come prima forma di guadagno su internet, ma ammette che i contenuti premium possono costituire una fonte importante di introiti e che “aperto a tutti” non significhi necessariamente “gratis”. Dal lato puramente economico la piattaforma Checkout dovrebbe garantire una divisione degli introiti in maniera simile ad iTunes (con una percentuale trattenuta dal motore di ricerca), ma da Google ci tengono a far sapere che la decisione di applicare questo modello sarà unicamente degli editori, che rimarranno proprietari dei loro contenuti.
La proposta di Google, ancora in una fase embrionale di sviluppo, ha un’importanza anche sul lato politico: se in Italia l’Antitrust ha aperto un fascicolo per abuso di posizione dominante nel campo dell’informazione online contro Google, negli Stati Uniti la fama del colosso di Mountain View tra gli editori non è di certo migliore. Anche dall’altra parte dell’Atlantico sono molte le voci di scontento per la capacità del sito di attirare pubblicità a danno, secondo gli accusatori, dei giornali online che invece forniscono i contenuti.
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